Di seguito vedremo se cambia l’appalto nell’azienda cosa può succedere al lavoratore ed in che modo può tutelarsi.
Sempre più spesso le aziende si avvalgono di contratti di servizio con società esterne che hanno ad oggetto attività accessorie rispetto all’oggetto sociale. Si tratta di accordi che mirano a snellire il carico di lavoro per il quale sono oberate. Tali contratti possono assumere le forme più svariate, anche se il più comune è il contratto di appalto.
Spesso succede che il contratto di appalto scada, e l’azienda committente decida di individuare un’altra impresa che svolga quel lavoro perché non è stata soddisfatta delle prestazioni della società precedente. In questi casi, che fine fanno i lavoratori che erano legati a quel contratto?
È bene specificare che non esiste una regola generale secondo cui i dipendenti assunti con il contratto scaduto debbano essere riassunti con la nuova società che subentra, dando continuità al rapporto di lavoro. Tuttavia, il legislatore ha cercato di tutelare questa categoria di lavoratori, inserendo alcune clausole sociali che favoriscono la prosecuzione automatica del rapporti di lavoro in capo all’azienda che subentra nel nuovo contratto, e ciò soprattutto nel settore pubblico.
Appalto e outsourcing: cos’è e come viene regolato
Possiamo definire l’appalto tra due imprese come un accordo con il quale un’azienda si assume l’obbligo di prestare un servizio o realizzare un’opera per una società, gestendo risorse e mezzi a proprio rischio. Questo tipo di rapporto tra appaltatore e committente viene definito anche outsourcing. Ciò per indicare l’affidamento a terzi soggetti di attività che richiedono competenze specifiche. Generalmente, tali attività hanno ad oggetto mansioni specifiche che non riguardano il core business, e cioè l’attività principale del committente, ma incarichi accessori. Così, ad esempio, una cooperativa sociale può affidare a società terze la gestione della mensa, la pulizia degli ambienti, la sicurezza, l’elaborazione delle buste paga e tanti altri servizi: si tratta solo di alcuni esempi che possono estendersi a molti altri incarichi e mansioni.
Le attività che sono oggetto del contratto d’appalto richiedono la presenza di un requisito fondamentale: il personale dipendente, che rappresenta il vero traino dell’accordo tra committente e appaltatore. Questo significa che la società committente, oltre ad avere i propri lavoratori, avrà al suo interno anche quelli della società appaltatrice, almeno fino al giorno della scadenza naturale del contratto.
Il problema sorge quando il contratto giunge alla sua naturale scadenza e l’azienda decide di non rinnovarlo, né prorogarlo. Questa tipologia di accordi, infatti, non è quasi mai a tempo indeterminato, ma prevede solo la possibilità di rinnovo. Inoltre, nel settore pubblico, l’affidamento non può avvenire in modo diretto, perché è necessario indire una vera e propria gara per valutare le offerte economiche.
Cosa succede al lavoratore quando il contratto scade: la clausola sociale
Al netto delle variabili che possono verificarsi in questi casi, quando cambia l’appalto nell’azienda, la società cedente lascia il posto a un’altra azienda che si è aggiudicata il lavoro, subentrando nella gestione del servizio o della fornitura.
Questa situazione porta delle conseguenza soprattutto nella vita lavorativa delle risorse, che hanno tre strade da percorrere:
- il reimpiego in un nuovo appalto che la società per la quale lavorano si è aggiudicata;
- trovare una collocazione professionale nuova;
- il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Certamente la terza opzione è la più svantaggiosa per i lavoratori e anche la più difficile da gestire per la società. Infatti la legge non predispone norme conservative del rapporto di lavoro, ma tutela l’appaltatore quando non è in grado di reimpiegare le risorse con un nuovo appalto. Vi è, però, una norma introdotta dal legislatore nel Codice degli Appalti Pubblici, precisamente l’art. 50, con la quale il nuovo aggiudicatario può godere di una premialità quando accetta di applicare la clausola sociale, assumendo parte o l’intero personale presente nell’appalto precedente, prima ancora che quest’ultimo scada.
La ratio della norma va ravvisata nella necessità di promuovere e garantire la stabilità occupazionale dei dipendenti, evitando di lasciarli senza lavoro per periodi molto lunghi. Ovviamente, la clausola sociale è ammissibile solo quando le mansioni che svolgono i dipendenti non sono di tipo intellettuale, ma di manodopera ad alta intensità. In via esemplificativa, la manodopera ad alta intensità si riferisce ai contratti di servizi che prevedono un costo medio del personale pari al 50% dell’importo totale dell’appalto.
Se cambia l’appalto nell’azienda, il lavoratore è obbligato ad accettare il reimpiego?
Se l’appaltatore subentrante sceglie di accettare la clausola sociale, il lavoratore può decidere di accettare, ma anche di rifiutare. Ricordiamo, infatti, che il passaggio dal vecchio al nuovo contratto richiede la sottoscrizione di un nuovo accordo, che presenta specifiche condizioni alle quali le risorse possono decidere di non sottostare.
Non solo, secondo giurisprudenza dominante, l’accettazione del nuovo contratto da parte del lavoratore non comporta la rinuncia automatica del diritto di impugnare il licenziamento subito, né tantomeno bisogna presumere che il lavoratore accetti il nuovo impiego, per questo occorre la sottoscrizione di un nuovo accordo e di tutte le sue clausole.
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