Esattamente, di cosa parliamo quando diciamo: “c’è stata una rissa in centro”? O meglio, si è consapevoli di cosa comporti un coinvolgimento in una rissa?

Nell’ultimo periodo, di episodi di questo tipo ne abbiamo sentiti diversi, da nord a sud.

Generalmente, si parla del coinvolgimento in una rissa di ragazzi giovani, o giovanissimi, di compagnie rivali, di tensioni tra quartieri, ma quasi sempre poi, i motivi dello scontro restano ignoti.

Negli ultimi accadimenti i gruppi si sarebbero, addirittura, dati appuntamento sui social; sui giornali si legge che l’“invito per la spedizione punitiva” sarebbe partito proprio dalle chat. 

Soggetti coinvolti

La circostanza che, secondo quanto si apprende, si tratti solo ed esclusivamente di adolescenti e ragazzini sembrerebbe ridurre l’ambito di responsabilità, per tale tipologia di reato, ad una fascia d’età precisa, identificabile, circoscritta. Eppure, dai filmati che circolano, anche troppi, sui fatti di cui si parla, non  si vedono solo facce giovani ed arrabbiate, ma anche volti cresciuti e consapevoli, uomini e donne, che per un motivo o per l’altro partecipano, a vario titolo, a quel fatto di reato.

Il reato nell’ipotesi di coinvolgimento in una rissa

Si tratta di una fattispecie penalmente rilevante. E chi viene coinvolto o fermato nel mentre si sta consumando questo scontro, o identificato poi, ne viene ritenuto presunto responsabile, ovvero, ad ognuno dei partecipanti viene contestato il coinvolgimento in una rissa. Aprire un fascicolo per rissa, a seguito di episodi di tale natura, è un atto dovuto e d’ufficio da parte delle autorità. Non è necessario che qualcuno quereli qualcun altro. Il sol fatto di trovarsi lì, di aderire ed assecondare, di partecipare, di contribuire, rende presunti colpevoli di un fatto grave, che non è un appuntamento, non è un incontro per uno scambio d’opinioni.

Autori del reato

Chiunque può rendersi colpevole di tale fattispecie criminosa. Si tratta di un reato comune.

E non illudiamoci che si tratti sempre e solo di soggetti svantaggiati, provenienti da famiglie che vivono in situazioni disagiate o di ragazzi “sbagliati”. Partire da questo presupposto è fuorviante. In molti casi, ad essere coinvolto è il figlio del nostro vicino di casa, appartenente ad una famiglia di tutto rispetto, che mai e poi mai, per la considerazione e la reputazione della propria famiglia, avrebbe potuto farlo, secondo l’opinione comune. E ci si meraviglia quando invece si scopre il contrario.

Così è sbagliato addebitare “socialmente” la responsabilità alle famiglie o alla scuola o ancora alla comunità in generale. Tornando al punto focale della questione, ovvero che si tratta di un reato, è inevitabile ricordare che la responsabilità penale è personale.

Intenzionalità del reato.

Importante è evidenziare che si tratta di un reato intenzionale.

Significa, infatti, che le persone coinvolte hanno deciso di affrontarsi, con l’intento di offendersi reciprocamente, verbalmente e fisicamente. Chi partecipa ad una rissa decide consapevolmente di farlo. Ci si discolpa dal reato solo se si dimostra che non si è trattato affatto di una rissa, poiché tra le parti coinvolte, soltanto qualcuna era intenzionata ad arrecare danno ad altre, ed è assente il requisito della reciprocità degli intenti.

Esclusione dall’addebito dei fatti contestati.

Non sempre questa tipologia di scontri configurano una rissa. In talune occasioni, alcuni soggetti restano coinvolti, loro malgrado, da aggressioni altrui, senza alcuna intenzione di rispondere agli attacchi, ma con la sola volontà di evitare le offese. Eppure, anche per questi episodi, è naturale che, prima dell’accertamento dei fatti, tutti i soggetti coinvolti vengano ritenuti responsabili del reato di rissa, sino a che non venga dimostrato che così non era affatto, e che non vi erano responsabili, ma rei e vittime.

Come chiarire, quindi, il proprio ruolo e far emergere la propria estraneità ai fatti contestati?

Il coinvolgimento in una rissa può vedere, oltre coloro che reciprocamente intendono sfidarsi, anche altre figure, come coloro chi interviene per sedare gli animi, o ancora, come detto sopra, chi, preso di mira da un gruppo di prevaricatori, ha il solo ed unico scopo di sfuggire ai colpi e cerca di difendersi.

Quante vicende si intersecano, pertanto, intorno ad uno dei reati più antichi che si conoscano.

Reato di rissa

Rissa: reato premeditato

In alcune delle ultime vicende note, si è accertato che i gruppi rivali si sono dati appuntamento via social! Si sono organizzati e sfidati. Questa è premeditazione.

Condanna

La rissa è punita con la multa o con la detenzione, nel caso in cui le conseguenze portino all’uccisione di qualcuno o a lesioni personali.

Prevenzione del reato

La società si interroga su come si possano evitare simili episodi, perché la maggior parte di essi si svolge in luogo pubblico, dunque crea un allarme inevitabile nella comunità, che ne viene investita; che non si sente più al sicuro dal verificarsi di scontri tra gruppi, talora anche organizzati con materiale atto ad offendere.

La vita cittadina, dunque, scorre tra vie sottoposte a telecamere di sorveglianza e presidi di forze dell’ordine pronte ad intervenire. Tutte queste misure sono certamente utili a far sì che vengano identificati e fermati quanto prima i possibili autori di questi fatti criminosi. Ma è un dato oggettivo che non basti.

La società civile si scatena. Chiede, da una parte, che ai giovani vengano proposte alternative volte a distoglierli dal cedere a porre in essere questi comportamenti, poiché non c’è ha nulla da offrire; dall’altra invoca, invece, le maniere forti, che potrebbero porre fine a tutto questo. Si avverte senza dubbio la necessità che i giovani ed i loro disagi vengano ascoltati, ma si casca in due  luoghi comuni: si rischia, da un lato, di descrivere le nuove generazioni come prive di iniziativa, di curiosità ed intraprendenza; l’altro luogo comune è che ciò che occorra davvero siano una severa educazione, una rigida impostazione su stili di vita, repressione e inibizione.

Responsabilità penale

Ci sarebbe un terzo punto di vista, che è quello di pensare che se questi più o meno giovani autori di fatti di reato siano perseguibili penalmente, siano anche pienamente in grado di scegliere come comportarsi. Allora la domanda è: sono abbastanza consapevoli di ciò che fanno? Sanno cosa è bene e cosa è male, ma non arrivano a comprendere che un’azzuffata non è una sfida stupida? Perché è attentato alla vita.

Una piazza alla quale ci si dà appuntamento per scontrarsi non è un palcoscenico dove esibirsi e far prevalere le proprie ragioni.

Allora, forse, l’unico vero deterrente potrebbe essere un’adeguata informazione, formazione e cultura del diritto e della giustizia. Sin dai primi studi intrapresi.

Far sì che i giovani si pongano la domanda di cosa rischiano e a cosa potrebbe condurre il loro comportamento potrebbe aiutargli a riflettere, a desistere, o a perseverare consapevolmente accettandone, però, le conseguenze poi, sul piano giuridico.

E’ sempre una questione di carattere culturale, si tratta di scegliere cosa includere nel concetto di “cultura” che intendiamo diffondere nella nostra Società ed in quella che stiamo costruendo, su una scala di valori che noi stessi predisponiamo ogni giorno.

Una volta identificati gli autori di questi reati, bisognerà certamente che rispondano dei fatti, che dimostrino la propria estraneità, optare per la strategia difensiva più idonea.

Pensare “preventivamente” alle conseguenze delle proprie azioni, invece, è ciò che tutti dovrebbero fare, ragazzi ed adulti, e se il ragionamento fosse pragmatico e veloce quanto l’algoritmo di un social, allora non ci sarà appuntamento in centro, che non sia solo ed esclusivamente socialmente utile e culturalmente edificante.

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