In questo articolo andremo ad analizzare insieme come gestire un licenziamento collettivo, l’iter da intraprendere e le possibili cause di impugnazione.

Un’azienda che intenda ridurre il suo personale, licenziando più di 5 lavoratori nell’arco di 6 mesi, è tenuta a seguire una precisa procedura che individui i soggetti in eccedenza.

Il primo requisito fissato dalla legge n° 223 del 23 luglio 1991, riguarda la dimensione dell’azienda in relazione al numero di lavoratori impiegati, che non può essere inferiore a 15. Perché si parli di “licenziamento collettivo”, il numero minimo di licenziamenti (5 nell’arco temporale di 120 giorni) deve avvenire all’interno dello stesso segmento di produzione, oppure in diverse unità produttive, territorialmente collocate nella stessa Provincia in cui ha sede l’azienda.

Accanto al requisito numerico e dimensionale, la legge richiede la presenza del nesso causale tra la riduzione della forza lavoro e le esigenze produttive: il caso più frequente ricorre quando si procede a una trasformazione dell’attività aziendale o, più genericamente, a una riorganizzazione del lavoro che evidenzi un’eccedenza di personale.

Tale disciplina non si applica ai casi di cessazione del rapporto di lavoro per scadenza dei termini (rapporti di lavoro a termine), per i contratti relativi ad attività stagionali o saltuarie e per i rapporti di fine lavoro nelle costruzioni edili.

In via del tutto intuitiva, la procedura di licenziamento collettivo deve essere necessariamente attivata quando ricorre il caso di cessazione totale dell’attività d’impresa.

Come gestire l’iter del licenziamento collettivo

L’imprenditore che decide di ridurre il personale della sua azienda, deve preventivamente comunicare la sua intenzione alla corrispondente RSA (Rappresentanza Sindacale Aziendale), nonché alle associazioni sindacali che (entro 7 giorni dalla ricezione dell’avviso), si attiveranno per organizzare incontri nei quali tentare di reperire soluzioni alternative al licenziamento collettivo.

In questo lasso di tempo (45 giorni, ridotti alla metà se i lavoratori da licenziare sono meno di 10), le organizzazioni sindacali possono anche richiedere un esame congiunto in cui vengano analizzate le cause alla base degli esuberi, eventualmente suggerendo le possibilità di reimpiego, riconversione o riqualificazione dei lavoratori eccedenti.

Indipendentemente dall’esito del tentativo, quando la procedura arriva alla sua conclusione, viene stipulato l’accordo definitivo e il licenziamento sarà comunicato ai soggetti interessati dal provvedimento.

La fase amministrativa e l’intimazione dei licenziamenti

Se l’esame congiunto , condotto dalle rappresentanze aziendali e sindacali , ha avuto esito negativo, gli uffici pubblici preposti, competenti per territorio, possono avviare una ulteriore consultazione in cui vengono formulate altre soluzioni per tentare di raggiungere un’intesa.

La fase amministrativa deve concludersi entro 30 giorni (termine dimezzato se il provvedimento di licenziamento riguarda meno di 10 dipendenti): a conclusione di questa eventuale seconda procedura, nel caso in cui non sia stato possibile raggiungere un accordo, l’imprenditore può avviare il licenziamento.

Il datore di lavoro, quindi, comunicherà il provvedimento di licenziamento ai dipendenti in via formale, ovvero per iscritto e rispettando i termini di preavviso (120 giorni dalla conclusione della procedura). Entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di licenziamento, qualora ricorrano le cause previste per legge, il provvedimento può essere impugnato dai soggetti interessati.

Come gestire un licenziamento collettivo: le cause di impugnazione

Il dipendente che intenda opporsi alla rimozione dal posto di lavoro dovrà seguire alcune regole per impugnare il provvedimento a suo carico. In primo luogo, l’atto di impugnazione dovrà avere la forma scritta ed essere formulato in modo da notificare in modo chiaro la sua volontà di opporsi al licenziamento.

Entro i successivi 180 giorni dall’invio di tale atto, il lavoratore dovrà depositare il relativo ricorso presso il Tribunale competente per territorio. In seguito alla comunicazione di opposizione, il datore di lavoro e il suo dipendente possono provare a trovare un accordo attraverso un tentativo di conciliazione, anche ricorrendo all’arbitrato.

Le cause di opposizione al provvedimento di licenziamento hanno carattere formale, ma interessano anche aspetti sostanziali e sono:

  • la mancanza di forma scritta dell’intimazione: in questo caso, il provvedimento è nullo e tale nullità provoca la condanna del datore di lavoro a reintegrare il dipendente nella sua posizione lavorativa, oppure a versargli un’indennità pari a 15 mensilità;
  • l’inosservanza delle procedure di licenziamento collettivo: in tal caso, il provvedimento è annullabile, il rapporto di lavoro si considera comunque estinto, ma il datore di lavoro può essere condannato a corrispondere all’ex dipendente un’indennità pari al minimo di 12 e al massimo di 24 mensilità, da calcolarsi con riferimento all’ultima retribuzione di fatto.

Si ricorda, infine, che anche la violazione dei “criteri di scelta” (anzianità di servizio, carichi di famiglia, esigenze organizzative e tecniche dell’impresa), può costituire motivo a base dell’impugnazione del licenziamento.

In questo caso il lavoratore ha tre opzioni:

  • chiedere di essere reintegrato nella sua posizione lavorativa;
  • pretendere dall’ex datore di lavoro il versamento di un’indennità sostitutiva (pari a un massimo di 12 mensilità);
  • invocare il risarcimento del danno (pari a un massimo di 12 mensilità), unitamente al pagamento dei contributi per l’intero periodo di estromissione dal lavoro.

Aggiornamenti recenti:

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 7 del 22 gennaio 2024, ha confermato la legittimità delle norme sull’applicabilità e l’importo degli indennizzi in caso di licenziamenti collettivi illegittimi, contenute nel Dlgs 23/2015, attuativo della legge delega 183/2014 (Jobs Act). La sentenza ha riaffermato che l’indennizzo per i licenziamenti collettivi illegittimi deve essere compreso tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità

Inoltre, la Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021) ha introdotto specifici obblighi per le aziende con più di 250 dipendenti che intendano chiudere reparti autonomi e licenziare almeno 50 lavoratori. Queste aziende devono presentare un piano per ridurre l’impatto economico e occupazionale, con una durata massima di 12 mesi

CONSULENZA LEGALE ONLINE

Lo Studio Legale Capone opera in tutta Italia ed offre la propria consulenza legale online a distanza, attraverso l’utilizzo delle moderne piattaforme informatiche per colloqui in videoconferenza.

In tal modo si consente a chi fosse impossibilitato a recarsi presso lo studio professionale, di poter ricevere assistenza ed i pareri legali richiesti.