Per la registrazione di un contratto di convivenza i comuni richiedono la dichiarazione anagrafica: è davvero necessaria?
“Il richiamo che la legge fa alla dichiarazione anagrafica appare ultroneo ai fini della nascita di una convivenza di fatto, che viene ad esistenza a prescindere da tale formalizzazione.
Tale interpretazione appare la più coerente con il dettato costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.) e conforme al diritto comunitario ed internazionale (art. 10 Cost.), specie in relazione alla tutela riconosciuta alla “vita familiare” (cfr. l’art. 8 CEDU), ed in linea con quanto previsto: (i) dall’art. 3, comma 2 della Direttiva 38/2004/CE (diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri); (ii) dall’art. 3 del D.Lgs. 30/2007 (così come novellata con l. 6 agosto 2013, n. 97) – norma direttamente applicabile in luogo del TU immigrazione (l. 286/98) in forza del principio di non discriminazione sancito in termini generali dall’art. 53 l. 234/12″.
È quanto stabilito dal Tribunale di Grosseto, con ORDINANZA ex ARTT. 669 bis e ss. e 700 e ss. c.p.c. a firma del Dott. Russo in data 11 ottobre 2024.
IL FATTO
Il Tribunale di Grosseto, con ORDINANZA ex ARTT. 669 bis e ss. e 700 e ss. c.p.c. del Giudice, dott. Amedeo Russo dell’11 ottobre 2024, nel procedimento instaurato con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato da questo Studio Legale, nell’interesse di una coppia di fatto, che aveva visto negarsi la registrazione del contratto di convivenza da parte di un ente comunale, ha chiarito alcuni dubbi interpretativi in ordine alla natura della dichiarazione anagrafica richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza».
Perché il Comune ha respinto la richiesta?
Il comune ha ritenuto irricevibile la richiesta di registrazione del contratto di convivenza della coppia e sosteneva di aver fatto applicazione delle indicazioni della circolare 21.09.21, prot. n. 21014 del Dipartimento per gli Affari interni e territoriali del Ministero dell’Interno, quale atto sub-regolamentare, evidenziando come, in sintesi, pur riscontrando il legame affettivo di coppia, sarebbe mancato ai fini dell’accoglimento dell’istanza un requisito previsto per legge, ovvero la regolarità del soggiorno dei richiedenti (che, nella specie, sarebbe la residenza anagrafica), in particolare della ricorrente, non titolare di regolare permesso di soggiorno in Italia.
Cosa hanno dedotto in giudizio i ricorrenti?
A sostegno della domanda cautelare, i ricorrenti avevano dedotto: (i) di essere reciprocamente legati da una relazione stabile; (ii) di avere avviato una convivenza, parimenti stabile, presso l’abitazione del ricorrente; (iii) di avere sottoscritto un contratto di convivenza innanzi al proprio avvocato, che ne aveva autenticato la validità; (iv) di avere, però, ricevuto dal predetto Ufficio, un provvedimento di irricevibilità alla registrazione del contratto di convivenza “per l’assenza di un valido documento di soggiorno sul territorio nazionale della ricorrente”, non considerabile quale componente della famiglia.
Cosa hanno chiesto al Giudice?
I ricorrenti hanno evidenziato l’illegittimità del provvedimento del Comune resistente, posto che la documentata convivenza stabile avrebbe comportato da sola il diritto alla registrazione del relativo contratto presso l’Anagrafe del Comune territorialmente competente e chiedevano, quindi, la revoca del provvedimento di irricevibilità alla registrazione del contratto di convivenza e ordinarsi al Comune l’immediata iscrizione della ricorrente all’anagrafe della popolazione residente ed il suo inserimento nello stato di famiglia del ricorrente, con annotazione del contratto di convivenza stipulato dai ricorrenti.
Il provvedimento del Giudice
Il Giudice, Dott. Russo, ritenendo fondata la domanda, la accoglieva per le seguenti importanti ragioni:
“In particolare, va rilevata la contemporanea sussistenza nella fattispecie dei due presupposti per la concessione dei provvedimenti previsti dall’art. 700 c.p.c., ovvero il fumus boni iuris, consistente nell’approssimativa verosimiglianza dell’esistenza del diritto di cui si chiede la tutela, ed il periculum in mora, cioè l’esistenza di un pericolo di pregiudizio imminente ed irreparabile al quale il ritardo può esporre il diritto medesimo.”
Sul fumus boni iuris
“Circa il primo presupposto, si osserva che l’art. 1 co. 36 della legge 76 del 2016 prevede che “si intendono per conviventi di fatto, due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un unione civile”. L’accertamento della stabile convivenza, ai sensi di tale legge (co. 37), avviene con riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui agli artt. 4 e 13, comma I, lett. b) del Regolamento recante adeguamento del regolamento anagrafico della popolazione residente (D.P.R. 30/05/1989, n. 223).”
Secondo una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, coerente con il dettato costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.) e conforme al diritto comunitario ed internazionale (art. 10 Cost.), va negata alla dichiarazione anagrafica una natura costitutiva vera e propria, dovendosi più correttamente valutare le risultanze anagrafiche come mere presunzioni legali circa la sussistenza di un rapporto di convivenza e della sua stabilità, il cui accertamento può però essere raggiunto con qualsiasi mezzo di prova.
In altri termini, la mancanza della dichiarazione anagrafica non osta alla configurabilità della convivenza di fatto, in presenza degli altri indici presuntivi atti a dimostrare la stabilità del rapporto di convivenza instaurato tra persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Ciò anche in quanto le dichiarazioni anagrafiche, a differenza di quelle di stato civile, non contengono manifestazioni di volontà, sicché alle stesse va riconnesso esclusivamente un valore probatorio relativo e non assoluto, non potendo produrre alcun effetto giuridico diverso ed ulteriore da quello derivante dalla stabile convivenza.
Convivenza come strumento privilegiato di prova
In quest’ottica, avendo la convivenza natura “fattuale”, e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo, come implicitamente si ricava dall’art. 1 comma 36 della Legge 76 del 2016, in materia di “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, atteso che la definizione normativa che il legislatore ha introdotto per i conviventi è priva di ogni riferimento ad adempimenti formali.
Pertanto, atteso che il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa, deve ritenersi che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza», ovvero per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza fattuale (cfr. in tal senso Trib. Milano, ord. del 31/05/2016; Trib. Milano, ord. del 25/04/2021).
In definitiva, il richiamo che la legge fa alla dichiarazione anagrafica appare ultroneo ai fini della nascita di una convivenza di fatto, che viene ad esistenza a prescindere da tale formalizzazione.
Tale interpretazione appare la più coerente con il dettato costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.) e conforme al diritto comunitario ed internazionale (art. 10 Cost.), specie in relazione alla tutela riconosciuta alla “vita familiare” (cfr. l’art. 8 CEDU), ed in linea con quanto previsto: (i) dall’art. 3, comma 2 della Direttiva 38/2004/CE (diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri); (ii) dall’art. 3 del D.Lgs. 30/2007 (così come novellata con l. 6 agosto 2013, n. 97) – norma direttamente applicabile in luogo del TU immigrazione (l. 286/98) in forza del principio di non discriminazione sancito in termini generali dall’art. 53 l. 234/12″.
“Va quindi preferita una interpretazione conforme del diritto interno al diritto europeo applicando direttamente le norme della direttiva, più favorevoli e meno restrittive, in base alla quale è possibile riconoscere valenza alla relazione stabile, con effettiva esplicazione del diritto ad ottenere l’iscrizione anagrafica nella popolazione residente in qualità di membro di una coppia di fatto, anche attraverso la produzione di documentazione diversa dal permesso di soggiorno, posto che, diversamente opinando, si attribuirebbe al permesso di soggiorno una valenza costitutiva della fattispecie in contrasto con l’art. 2 e 3 Cost. e con l’art. 8 CEDU.”
Vi è dunque valida prova di verosimiglianza, idonea in questa fase cautelare, della esistenza tra loro di una stabile relazione e della convivenza che si protrae un tempo apprezzabile, nonché della loro volontà di regolamentare i propri rapporti attraverso il contratto di convivenza sottoscritto e autenticato da avvocato a ciò abilitato, prodotto in giudizio, il quale ha certificato la conformità del predetto accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
È dunque da ritenersi pienamente provata la situazione di fatto descritta dai ricorrenti, sicché gli stessi vanno considerati effettivamente conviventi di fatto.
Risulta conseguentemente sussistente il fumus boni iuris, atteso il diritto dei ricorrenti ad ottenere dall’Ufficiale dell’Anagrafe l’iscrizione nel registro della popolazione residente del partner extracomunitario del cittadino dell’unione residente nel comune ove viene svolta la richiesta, senza necessità di dimostrare l’attuale disponibilità di un permesso di soggiorno in capo al partner non cittadino italiano.”
Sul periculum in mora.
“In ordine, poi, al requisito del periculum in mora, lo stesso è da rinvenirsi nel grave pregiudizio patito dalla coppia nel non vedere riconosciuto il proprio nucleo ed il conseguente diritto alla coesione familiare. Ne discende che deve ritenersi sussistente, per il partner extracomunitario di cittadino residente in un Comune, il diritto di ottenere un riconoscimento della situazione di fatto, purché validamente accertata, come avvenuto nel presente giudizio cautelare, mediante l’iscrizione nel registro della popolazione residente di detto Comune e nello stato di famiglia del convivente, ove sia presentata dichiarazione di costituzione di nuova convivenza e pur in assenza di permesso di soggiorno.
Rimane conseguentemente assorbita la questione della revocabilità o meno del provvedimento per cui è causa, atteso l’accertato diritto dei ricorrenti ad ottenere il riconoscimento della situazione di fatto sopra descritta, coincidente con il risultato concreto cui tende l’odierna azione cautelare.”
In definitiva, il ricorso presentato da questo Studio Legale veniva accolto.
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