In seguito alla separazione fra i coniugi sono diversi gli aspetti da disciplinare. Fra tutti spicca di certo il diritto di abitazione della casa coniugale. Ci si chiede, quindi, quando l’appartamento spetti alla moglie o al marito e quali sono i principi da seguire. Vediamo, qui di seguito, quello che bisogna sapere su questo argomento, per nulla semplice o scontato come si potrebbe pensare.
Diritto di abitazione dopo la separazione: aspetti generali
A chi spetta il diritto di abitazione dopo la separazione coniugale? E’ bene fare una piccola premessa sul concetto stesso di separazione. Istituto disciplinato dagli articoli 150 e seguenti del nostro codice civile e da tutta una serie di norme speciali, che sospende gli effetti del matrimonio in attesa del successivo divorzio.
I doveri di fedeltà e di coabitazione vengono meno a seguito della separazione. I coniugi non vivranno più sotto lo stesso tetto, per cui sarà necessario stabilire sull’assegnazione del diritto di abitazione della dimora coniugale. Dirimente è la presenza di figli minori. A tal proposito, il giudice attribuisce, infatti, tale diritto al coniuge con il quale i figli andranno ad abitare, madre o padre che sia. Il cosiddetto “genitore collocatario”. Ciò avviene anche qualora l’appartamento dovesse essere di proprietà dell’altro coniuge.
Ai figli deve essere assicurato il diritto di poter continuare a stare nel medesimo ambiente in cui sono stati cresciuti. Ciò per non subire un ulteriore trauma in aggiunta a quello della disgregazione familiare, con tutti i cambiamenti di abitudini che ne derivano.
In assenza di figli, se entrambi dimostrano di essere autonomi sotto il profilo economico, la casa resterà nella disponibilità del proprietario. Se l’appartamento è cointestato o rientrante nella comunione dei beni verrà diviso in natura. Se questo non fosse possibile, si procederà con la vendita suddividendo il ricavato. Volendo uno dei due coniugi potrà riscattare la quota dell’altro, quindi cedendo una quota in denaro secondo l’andamento di mercato.
Su quale immobile viene attribuito il diritto della casa coniugale alla moglie?
Di certo non un qualsiasi appartamento, ma esclusivamente quello che, al momento dello scioglimento del matrimonio rappresentava la casa abituale della famiglia, cosiddetta casa coniugale.
In buona sostanza il giudice non potrà attribuire all’ex moglie la seconda abitazione, l’immobile di villeggiatura, destinato alle vacanze o altra proprietà.
Se il marito è proprietario di un’altra casa in cui la famiglia non abita, sulla stessa non spetta il diritto di abitazione all’ex moglie. A quest’ultima può essere comunque riconosciuto il diritto di abitazione, ad esempio in comodato d’uso gratuito. Quest’ultimo a tempo determinato e registrato presso l’Agenzia delle Entrate.
Per quanto tempo la casa coniugale rimane all’ex moglie?
Il diritto prosegue sino a quando sussistono le esigenze della prole. Al loro venir meno l’ex marito potrà avanzare una richiesta di restituzione dell’immobile.
Diritto di abitazione della casa coniugale: se la coppia non è unita in matrimonio
Tante persone, dopo la fine di una relazione, si chiedono se il diritto di abitazione della casa coniugale scatti o meno in caso di coppie conviventi, non unite in matrimonio. La risposta in questo caso è affermativa. L’abitazione verrà assegnata secondo le regole specificate in precedenza. Il diritto all’abitazione verrà riconosciuto, quindi, al compagno o alla compagna collocatario dei figli.
Diritto di assegnazione della casa coniugale e trascrizione
Quando si presenta il rischio che la casa coniugale assegnata al coniuge venga venduta o messa all’asta è possibile tutelare il diritto di abitazione tramite la trascrizione del provvedimento del Giudice.
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale potrà dunque essere trascritto nei registri immobiliari che sono detenuti presso le conservatorie. Occorre annotare in modo ufficiale che su quella specifica abitazione è stata emessa una pronuncia del Tribunale con la quale si stabilisce il diritto di abitazione.
La trascrizione di tale provvedimento mantiene la sua efficacia fino a quando perdurano le esigenze della prole, quindi al raggiungimento della maggiore età dei figli e nel momento in cui questi diventano autosufficienti dal punto di vista economico. La trascrizione, che deve essere eseguita entro un mese dall’emissione del provvedimento pena l’applicazione di sanzioni pecuniarie per ogni giorno di ritardo, non è obbligatoria ma in mancanza l’opponibilità ai terzi resta limitata per nove anni.
In conclusione
Le varie pronunce della Corte di Cassazione che si sono susseguite nel corso del tempo hanno ben chiarito non solo come deve essere attribuito il diritto di abitazione nella casa coniugale a seguito dell’avvenuta separazione, ma anche fino a quanto tempo dura. Particolarmente importanti sono poi gli aspetti riguardanti la trascrizione del provvedimento del Giudice quando c’è il rischio che l’abitazione assegnata possa essere messa in vendita o diventare oggetto di un’azione esecutiva.
A tal proposito, il coniuge collocatario della prole non autosufficiente ha diritto di continuare ad abitare nell’immobile. Per questo motivo potrà ottenere ampia tutela attraverso l’assistenza tecnica di un avvocato specializzato nel settore. Stesso vale nel caso di genitore non sposato, ma comunque collocatario dei figli minori o maggiorenni non ancora autonomi, nominato dal Giudice assegnatario della casa familiare.
Aspetto che merita approfondimento a parte è la circostanza che i figli siano attribuiti ad entrambi i genitori congiuntamente o ad uno solo di essi, in affidamento esclusivo del minore, in presenza delle circostanze previste dalla legge.
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