Cosa succede se la ditta o l’impresa edile incaricata di eseguire i lavori non completa le opere? Quali mezzi la legge mette a disposizione dei cittadini per tutelarsi e far valere il proprio diritto?
Quando l’appaltatore non termina i lavori commissionati, ha l’obbligo di risarcire i danni al committente, anche se non c’è un contratto sottoscritto tra le parti, ma semplicemente un preventivo accettato. Lo strumento da azionare nel caso in cui le opere non eseguite siano molto superiori a quelle previste dal computo metrico è la risoluzione per grave inadempimento dell’imprenditore e il risarcimento del danno, nel caso in cui l’impresa non abbia eseguito i lavori a regola d’arte.
Il contratto sottoscritto da committente e appaltatore, così come il preventivo elaborato dal tecnico dell’azienda, infatti, sono una valida prova documentale atta a dimostrare che l’affidamento dei lavori non è avvenuto in momenti diversi (e dunque di volta in volta) ma in un unico momento. La conseguenza, in questa ipotesi, è il risarcimento dei danni da parte dell’impresa al committente.
Cosa sostiene la giurisprudenza sulla questione
Quando un’impresa edile viene commissionata per eseguire determinati lavori al cliente, si instaura un rapporto di fiducia tra le parti che lascia presupporre la corretta esecuzione delle opere da parte dell’imprenditore e il pagamento del corrispettivo da parte del committente. Questo significa che quando uno di questi presupposti viene meno, l’altro acquisisce il diritto di tutelarsi e di vedere riconosciuto il proprio diritto.
In questa direzione, l’art. 1455 c.c. assume un ruolo di rilievo quando contempla che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Già da una prima lettura si intuisce la ratio della norma che valuta la gravità dell’inadempimento mettendo a confronto le due posizioni contrattuali, da un lato l’inadempimento grave dell’appaltatore e, dall’altro, l’interesse del committente all’adempimento del primo.
Infatti, l’intimazione e la diffide ad adempiere prevista dall’art. 1454 c. c. e il decorso dei termini fissati senza che l’appaltatore porti a termine le opere, aprono la strada all’accertamento giudiziale previsto dall’art. 1455 c. c. con tutte le conseguenze possibili.
Con quest’ultimo strumento il giudice dovrà verificare non solo la gravità dell’inadempimento, tenuto conto della scadenza del termine non rispettato, ma anche di quegli aspetti soggettivi che vengono in rilievo con un indagine sul comportamento soggettivo dell’appaltatore.
Cosa succede se la ditta o l’impresa edile incaricata di eseguire i lavori non completa le opere? Quali mezzi la legge mette a disposizione?
La sentenza numero 78 del 2016 del Tribunale di Napoli
Così si è espressa più volte la Corte di Cassazione nelle sentenze n. 13208/2010 e n. 9314/2007, nelle quali ha intravisto una necessaria lettura combinata degli articoli 1454 e 1455 c.c. per verificare, in via preliminare, l’inadempimento dopo l’intimazione e la diffida, ma anche l’accertamento della gravità dell’inadempimento e dei danni da esso scaturiti.
Si tratta di un principio espresso anche dal Tribunale di Napoli nell’importante sentenza numero 78 del 7 gennaio del 2016, nella quale il giudice ha stabilito che vi fosse risarcimento dei danni al committente e successiva declaratoria di risoluzione contrattuale. Nel caso di specie, Caio e Sempronio, in qualità di proprietari in comune di una villa, dichiaravano che la ditta edile a cui avevano commissionato i lavori di ristrutturazione non aveva completato le opere previste nel contratto e che le stesse presentavano gravi vizi, tanto che il soffitto delle camere da letto mostrava delle infiltrazioni.
Al termine di un lungo processo, il Tribunale di Napoli condannava l’appaltatore al risarcimento dei danni dal momento che il complesso dei lavori non completati era molto superiore rispetto a quelli eseguiti dall’impresa convenuta in giudizio, potendo così applicare l’art. 1455 c.c. e dichiarare, conseguenzialmente, anche la risoluzione del contratto per inadempimento.
Valutazione sulla gravità dell’inadempimento della ditta edile ed esecuzione dei lavori a regola d’arte
Sulla base delle pronunce giurisprudenziali sopramenzionate, il giudizio che ha ad oggetto la gravità dell’inadempimento posto in essere dall’appaltatore non può riguardare solo l’entità della prestazione non adempiuta rispetto al valore della prestazione complessiva.
Il giudizio sulla gravità dell’inadempimento deve invece scaturire dalla valutazione sul valore totale del corrispettivo previsto nel contratto e accettato dalle parti. Valore complessivo che deve essere determinato attraverso il criterio di proporzionalità tra l’obbligazione che non è stata adempiuta e il valore complessivo dell’opera e non certo rispetto alla caparra versata nella fase iniziale dei lavori.
Questo significa che la gravità dell’inadempimento dell’appaltatore viene valutata non in base all’entità del danno (che potrebbe anche non esserci o essere residuale rispetto all’inadempimento) ma in relazione alla finalità e alla natura del rapporto, alla volontà delle parti e soprattutto in base all’interesse concreto del committente che i lavori vengano realizzati in modo esatto e tempestivo.
La ditta edile non completa i lavori: conclusioni
Nel caso proposto al Tribunale di Napoli, il giudice ha stabilito non solo la risoluzione del contratto per inadempimento grave, ma ha anche condannato l’impresa alla restituzione dell’acconto e al conseguente risarcimento dei danni per i lavori non completati e per quelli eseguiti non a regola d’arte.
Su questa strada, appare chiaro l’intento del legislatore di voler tutelare il committente in caso di condotte inadempienti da parte dell’appaltatore nei casi in cui questi non completi i lavori nel termine indicato o quando li esegua in modo errato.
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