Ricorre il giustificato motivo oggettivo quando il licenziamento viene intimato per fatti inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3, L 604/1966).

Quali sono i motivi oggettivi per i quali un lavoratore può essere licenziato?

Eccone alcuni:

  • Chiusura dell’azienda
  • Riduzione del personale
  • Cessazione dell’attività
  • Inesigibilità della prestazione lavorativa
  • Sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore
  • Comportamento del lavoratore che lede gravemente l’interesse del datore di lavoro

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore non soggetto alle regole del contratto a tutele crescenti (D.lgs. 23 del 2005), il datore di lavoro con più di 15 dipendenti deve obbligatoriamente attivare una specifica procedura con finalità conciliative che prevede l’intervento della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (art. 7 L. 604 del 1966).

La previsione consente, infatti, alle parti di confrontarsi presso una sede che offre garanzia di terzietà e di trovare soluzioni alternative al licenziamento (Cass. 8660/2019).

Come avviene la procedura di conciliazione all’Ispettorato nazionale del lavoro?

  • La procedura è stata introdotta della legge Fornero (L. 92/2012) che ha completamente riscritto l’art. 7 della L.604/1966 ed è limitata alle imprese medio-grandi secondo i requisiti dimensionali determinati dall’art. 18, commi 9-9 L. 300/1970.
  • Il datore di lavoro ha l’onere di inviare all’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL), competente in base al luogo dove il lavoratore presta la propria attività, una comunicazione, da trasmettere per conoscenza allo stesso lavoratore, nella quale dichiara la sua intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indicando i motivi del licenziamento medesimo, nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
  • Nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta, L’ITL provvederà a trasmettere la convocazione, sia al datore di lavoro che al lavoratore, per un incontro innanzi alla commissione di conciliazione (art. 410 c.p.c), nel quale le parti potranno essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferire mandato ad un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero ad un avvocato o un consulente del lavoro.
  • Se la conciliazione si conclude con esito positivo prevedendo la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di NASPI e può essere previsto l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia per il lavoro, ovvero di somministrazione, di intermediazione e di supporto alla ricollocazione professionale (art. 4, comma 1, lett a) c) ed e), D. Lgs. 276/2003).

Cosa succede se la procedura ha esito negativo?

  • In caso di esito negativo e, comunque, laddove risulti decorso il termine di 7 giorni per la trasmissione della convocazione, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo al datore di lavoro.
  • Nel caso di giustificato motivo oggettivo la legge riconosce una prevalenza delle esigenze dell’imprese, ex art. 41 Cost., rispetto a quella del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro: l’imprenditore è infatti libero di determinare l’assetto aziendale più confacente alle esigenze produttive, anche se ciò può comportare uno o più licenziamenti.
  • Pertanto, all’art. 3 della L. 604/1966 richiede la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore e che tale soppressione sia riferibile a progetti o scelte datoriali – insindacabili sotto i profili di congruità e opportunità, ma comunque necessari e non simulati – diretti d incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi (Cass. 6085/2021).

Le verifiche del datore di lavoro prima del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Quando il motivo del licenziamento è oggettivo, il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare la possibilità di un’altra proficua utilizzazione del lavoratore licenziato ovvero l’impossibilità di utilizzarlo in mansione diversa da quella precedentemente svolte (Cass. 22798/2016), ossia di ricollocarlo all’interno dell’assetto organizzativo aziendale (Cass.22675/2018) (c.d. obbligo di repèchage).

Il licenziamento dunque si configura come extrema ratio.

Cosa spetta al lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo?

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha diritto a un’indennità di licenziamento, al trattamento di fine rapporto (TFR) e al risarcimento del danno.

I presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.

Attraverso una procedura di conciliazione le parti potrebbero trovare una soluzione della controversia. In caso di azione giudiziaria e nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o per giusta causa sia dichiarato illegittimo dal Giudice, il lavoratore potrebbe essere risarcito con il pagamento di una indennità da 6 a 36 mensilità, determinata in modo crescente in base all’anzianità di servizio del lavoratore.

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